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Biografia e Critica di OMAR GALLIANI


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OMAR  GALLIANI

















 

 

 

 

 
 
 
 
OMAR GALLIANI
Cenni Biografici

 
Nato nel 1954 a Montecchio Emilia, dove vive, Omar Galliani ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Bologna e insegna pittura all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Agli inizi degli anni Ottanta è stato esponente di spicco del gruppo degli Anacronisti e del Magico Primario. Ha partecipato a tre edizioni della Biennale di Venezia e in quella del 1984 ha avuto una sala personale nella sezione “Arte allo specchio”. Sempre negli anni Ottanta ha partecipato alla Biennale di San Paolo del Brasile e alla XII Biennale di Parigi. Ha esposto nei Musei d’Arte Moderna di Tokyo, Kyoto, Nagasaki, Hiroshima, alla Hayward Gallery di Londra, a due edizioni della Quadriennale di Roma, alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, in quelle di Francoforte e Berlino. Negli anni Novanta il suo lavoro è stato esposto allo Scottsdale Center for the Arts dell’Arizona, alla Marian Locks di Philadelphia e alla Arnold Herstand Gallery di New York. L’artista ha inoltre presentato Feminine Countenances alla New York University e nel 2000 Aurea al Museum of the Central Academy of Fine Arts di Pechino. Ha poi esposto presso il Palazzo delle Stelline a Milano, alla Galleria Civica di Modena, al Museo d’Arte Moderna di Budapest, al Palacio Foz di Lisbona, al PAC di Milano.
Nel 2003 è stato invitato alla Biennale di Praga e alla prima edizione di quella di Pechino, dove ha vinto il primo premio con tre grandi opere del ciclo Nuove anatomie.
Nel 2005, all’Archivio di Stato di Torino nell’ambito della mostra Grande Disegno Italiano, un suo disegno (5 x 6,3 metri), grafite su pioppo, è stato messo a confronto con il volto dell’angelo di Leonardo, preparatorio della Vergine delle rocce, esposto alla Biblioteca Reale. A Palazzo Magnani di Reggio Emilia ha presentato la personale Nuove anatomie. Sempre nel 2005 il Museo d’Arte Contemporanea di Guadalajara (Messico) ha inaugurato una sua personale dal titolo Nuovi fiori nuovi santi e lo Spazio Mazzotta di Milano ha presentato La figlia era nuda.
Dal 2006 una sua personale dal titolo Disegno Italiano ha girato in Cina i più importanti Musei d’Arte Moderna e Contemporanea, da Shangai, Chengdu, Jinan, Xian, Wuhan, Hangzhou, Ningbo, a Nanchino, Dalian, Tientsin, Capital Museum di Pechino, e ha concluso il tour alla fine del 2008 a Honk Kong nella prestigiosa galleria d’arte Schoeni Art Gallery. Sempre nel 2006 l’Università e il Museo di Caracas hanno ospitato una sua personale dal titolo Disegnarsi, che nell’aprile 2007 è stata portata al Museo Hassan di Rabat.
Il Grande Disegno Italiano, la grande opera esposta a Torino nel 2005, è stata poi presentata al Palazzo della Permanente di Milano nell’ambito della mostra La bellezza nel 2006, quindi a Verona, Palazzo della Ragione, all’interno dell’esposizione Il settimo splendore.
Nel giugno 2007 si inaugura la mostra Tra Oriente e Occidente. Omar Galliani e il Grande Disegno Italiano in Cina presso la sede della Fondazione Querini Stampalia, inserita tra gli eventi collaterali della 52a Biennale di Venezia. L’evento, realizzato con il patrocinio dell’Ambasciata Cinese in Italia, in collaborazione con il Ministero Italiano per gli Affari Esteri e il governo della Repubblica Popolare di Cina, vedrà la presenza dell’Associazione degli Artisti Cinesi e la collaborazione dei musei di Shanghai, Ningbo, Dalian, Xian, Hanghzou, Jinan, Chengdu e Wuhan. Nel mese di Aprile 2009 Christian Mermoud  inaugura una sua personale alla galleria  " Angle Art-Led Attitude & Design" a Saint Paul de Vance, il 31 di luglio si inaugura sempre a Saint Paul de Vance un nuovo spazio "Angle Art e Design" , all'interno e in permanenza si apre "Space Galliani" che raccoglie in permanenza sue opere . La galleria "k 35" di Mosca apre una sua personale da Maggio a Luglio con un nuovo ciclo di opere. La Fondazione Michetti di Francavilla al Mare gli dedica una grande retrospettiva ,catalogo Allemandi. Nel Maggio e per tutta l'estate ,la galleria "Shangheie" di Shanghai allestisce una sua personale " Lontano da Xian". Sempre in quelle date a Vienna l'istituto Italiano di Cultura ospita nei propri spazi una sua personale; a Lucca a Villa Bottini e nel Museo Archeologico di Palazzo Guinigi presenta "Dalle Stanze dei Miei Disegni”. Nel 2009 è anche Venezia nella collettiva Dètournemen” nell’antico Ospizio di San Lorenzo – evento collaterale alla 53° Biennale - e Andy Warhol-Omar Galliani, ospitata nel Chiostro di Santa Apollonia. In ottobre la Galleria Dep Art gli dedica un ampio omaggio retrospettivo. All’Istituto italiano di Cultura di Bogotà (Colombia) si è tenuta una sua personale dal titolo 21 Dibuyos por una noche in Bogota. Il 2010 si è aperto con una mostra al Museo Borges di Buenos Aires che verrà poi ospitata da altri 4 musei argentini e, nel 2011, da istituzioni brasiliane.

 

 

Visita:
http://www.soavearte.com/galliani-opere.asp
http://www.monicabenini.com/id31.htm
http://www.studiovigato.com/ita/artists_galliani.html
http://www.arsvalue.com/webapp/artista/12793935/omar-galliani.aspx




Intervista ad Omar Galliani
 
Hai cominciato ad operare nel sistema dell'arte a partire dalla seconda metà degli anni '70 a Bologna con lo Studio G7. Quale era il clima culturale di quel periodo e come è stato accolto il tuo lavoro?
Era un clima di grande trasformazione della situazione artistica italiana. Negli anni '76, '77 ed anche '78, si stava uscendo da una fase che definirei "concettualmente fredda" per ricominciare, se così si può dire, a dipingere, a disegnare. Ci si interrogava ancora sull'utilità o meno di un mezzo, la pittura, che per il momento era solo appannaggio di una certa tradizione post-novecentista ,la cui esistenza non aveva più senso.Proprio in quegli anni invece, si assiste ad una maturazione, un' evoluzione che sfocerà di lì a poco nella Transavanguardia, anzi oserei dire che sono proprio quelli gli anni di germinazione di movimenti come l' Anacronismo, I Nuovi Nuovi e così via. Tali movimenti erano poi capeggiati da situazioni critiche diverse, Achille Bonito Oliva da un lato, Calvesi e Barilli dall'altro. Erano veri e propri poli, punti di riferimento teorici che alimentavano una discussione forte, serrata, nel mondo dell'arte. In quegli anni a Bologna ogni settimana c'erano mostre in cui venivano presentati nuovi artisti. Erano due o tre le gallerie di riferimento; esisteva inoltre la possibilità di frequentare gli artisti stessi, di entrare nei loro studi vedendo così le cose sul loro nascere. Era realmente un periodo interessante per la germinazione di nuove idee. Ritengo che si uscisse allora da una fase di stanchezza, dovuta all'esaurimento delle spinte di un' avanguardia che mirava alla novità, per altro fine a se stessa, dell'impiego dei materiali. Contava meno una contenutistica che potesse prendere in considerazione il disegno. Cominciai a considerare l' arte del disegnare in maniera del tutto autonoma, anche se sotto l'influsso di una concettualità nata con artisti che in qualche modo avevano indagato il rapporto col mito: Paolini, Parmiggiani, Pisani ed altri ancora.
 
Inizialmente il tuo lavoro è stato catalogato nel Citazionismo e nell'Anacronismo, velocemente, però, ti sei liberato di questa etichetta ampliando il tuo universo, passando dalla pittura all'installazione, che ha rivelato la tua particolare sensibilità nell'accostare i materiali tra loro, fondendoli perfettamente con il luogo in cui venivano collocati. Ultimamente il tuo fare si è andato ad incentrare sempre più sul disegno, penso ai grandi Mantra ed a tutte le opere, grandi e piccole, realizzate negli ultimi anni.con questa tecnica. Come mai la scelte del disegno, che per sua natura ci rimanda ai principi dell'arte, in un'epoca in cui foto, video, computer, le nuove tecnologie insomma, imperano?
E' forse proprio nelle tue ultime parole che si trova la risposta. Probabilmente questa grande ridondanza di mezzi che tutti usano nella medesima maniera mi ha in qualche modo, non dico obbligato, ma spinto verso una scelta di unicità. È un lavoro solitario il mio e dunque autonomo. Era troppo semplice continuare a fare le cose che mi avevano reso noto negli anni ottanta. Non volevo rimanere ingabbiato tra le file della compagine anacronista. Svestirsi di questa identità per essere fino in fondo se stessi era cosa difficile ma eccitante al tempo stesso. Del resto fin dall'inizio non sono mai stato ingabbiato in rigidi schemi. Ne sono esempio le opere realizzate negli anni '77 e '78, che avevano a che fare con la presenza della materia come fatto organico in rapporto alla sua rappresentazione. Mi riferisco in particolar modo a due lavori: un'opera "Ophelia" e "La dea levò la fronte".  Nel primo caso annegai nell'acqua un grande disegno su cui era raffigurata la fanciulla, nel secondo, a cura di Demetrio Paparoni, dispersi dei grandi disegni nella polla di acqua dolce di Siracusa, creando così un forte rapporto tra l'impronta di iconicità del disegno stesso e la presenza tattile e sensibile dell'acqua. È questa una particolarità propria del lavoro di quegli anni che ho poi mantenuto anche in tempi recenti, non ho mai né rinnegato né dimenticato le esperienze passate, al contrario ritengo che nel nostro lavoro rimanga sempre la traccia del proprio vissuto. È altrettanto impossibile cancellare il marchio che la tradizione critica italiana ti infligge. Non sopporto le catalogazioni sono limitanti. Nessun' artista " maledetto"può essere imprigionato all'interno di questo recinto.
 
Spesso scrivi dei testi che accompagnano le opere, sia in mostra che in catalogo,penso all'installazione che hai realizzato la scorsa estate a Sarzana, in cui lavori e poesie si alternano nello spazio espositivo. Opere e testi: che relazione esiste tra loro e che valore attribuisci ai tuoi scritti?
I testi sono "paralleli" alle opere. Se li hai letti ti sarai reso conto che non sono descrittivi, non hanno valenza critica, rispetto alla ricerca pittorica che sto conducendo, ma letteraria, poetica.Sono brani che hanno a che fare con delle "affinità interiori", sì le chiamerei così, in quanto sottolineano il complesso rapporto con l'altro. L'oggetto di molti testi è, non a caso, la difficile possibilità di comunicare. L'impulso che mi spinge a scrivere è il medesimo che mi porta a disegnare, tento di esprimere un qualche cosa ma non so il perché. Forse il problema nasce da una sorta di "spina" iniziale, cioè dal bisogno di realizzare qualcosa con le mani. L'opera d'arte è legata ad una privazione affettiva. A proposito di questo, ricordo un brano di Plinio nel quale l'autore discorre sulla nascita della pittura considerandola una mirabile invenzione dell'arte greca arcaica. Partigiano della propria classicità, egli vide nella Grecia la patria delle arti figurative. La storia che egli racconta è per me emblematica, chiarificatrice del concetto che vede l'opera d'arte figlia di una mancanza affettiva. Plinio narra di una fanciulla che ha perduto il proprio amato partito per la guerra. Ella sa che non tornerà e decide dunque di tracciare l'ombra del proprio uomo su una tavoletta d'argilla. Il padre di lei, vasaio,cuoce la piccola effige. Nasce così il ritratto, l'immagine di colui che non è più. Penso che l'opera d'arte abbia a che fare con questa necessità primaria , con questa ferita non rimarginata.
 
Il viaggio ed il nomadismo fisico, mentale, temporale e culturale sono ormai dati acquisiti nella strategia adottata dagli artisti della tua generazione. Quali sono le mete preferite nei tuoi pellegrinaggi?
Se parliamo di luoghi fisici, intesi geograficamente, sicuramente l'Egitto, non tanto per le opere che tutti conosciamo: le piramidi con i lori irrisolti misteri, la complessa simbologia dell'arte egizia. È il deserto ciò che realmente mi affascina, è il luogo che, per eccellenza, esemplifica il mio concetto di rigore, di pulizia. Ogni cosa viene lavorata dal sole; sole e terra sono gli unici elementi vincenti. Anche le persone che abitano il deserto vivono una situazione a noi del tutto estranea, mettendo in moto meccanismi mentali a dir poco sconcertanti, inimmaginabili. Mi sono recato in questo suggestivo luogo come turista, ma ben presto, quasi senza volerlo, ho riflettuto sul mio fare arte, traendo numerosi stimoli sia per la pittura che per la poesia. È chiaro che la possibilità di guardarsi dentro, di meditare, è insita nella natura stessa del paesaggio. Le immagini che ho percepito sono fortemente interiori, simboliche, poco hanno a che fare con il tempo in cui si vive.
Ma qual'è poi il tempo realmente vissuto?
 
Il futuro prossimo ti vedrà protagonista di diversi, importanti eventi espositivi tra cui uno a Roma e l'altro in Portogallo. Di che cosa si tratta esattamente e che lavori presenterai in queste occasioni?
Quella di Roma, che si svolgerà in marzo, sarà una mostra storica sull'arte italiana del novecento. Esporrò un'opera realizzata a matita ed, ancora una volta, intitolata Mantra. Anche questo lavoro, come gli altri appartenenti al medesimo ciclo, sarà composto da due grandi tavole affiancate. Sulla prima un volto di donna ad occhi chiusi, sulla seconda, dorata, un testo, un mantra, appunto. È un'opera di forte impatto, di notevoli dimensioni, spettacolare.
In Portogallo, invece, si tratta di una mostra personale che si svolge in febbraio all'interno del Museo d'Arte Moderna di Lisbona dove verranno esposti di due grandi Mantra e di una serie di piccoli disegni. Questo evento vede una sorta di contrazione e dilatazione del disegno stesso. I grandi lavori rappresentano l'espressione della materia. Il soggetto del primo, realizzato a carboncino, è un lampadario di luce pura, dissoluzione del mezzo con cui è stato creato.
Questa messa a fuoco ravvicinata, questa dilatazione, crea una sorta di visione esaltando il dettaglio. Nei piccoli disegni vi è una minutezza, un assoluto bisogno di entrare nei pori della carta: è un ispezionare, un lavorare nella profondità del materiale.
 
Quale è la tua posizione nei confronti della storicizzazione degli artisti della tua generazione?
La storicizzazione lasciamola fare agli storici, anche se il guaio è che ognuno di loro scrive la propria storia dell'arte. Le varie posizioni critiche sono diverse, spesso contrapposte. La storicizzazione di un artista avviene attraverso l'analisi delle varie tappe che contribuiscono a formare il suo lavoro. Il problema è che spesso ci si sofferma solo su una parte del percorso, evidenziandola, tramutandola in un marchio di riconoscimento. È questo un fatto che può realmente dare fastidio, ti fa sentire epifania della storia dell'arte, insomma catalogato! Allora che fai? Sei davanti ad un bivio e ti chiedi se continuare a raccontare la stessa storia. No, non fa proprio per me, devo, voglio andare avanti. Il mio lavoro dunque schiva, depista questa facile catalogazione. Mi rifiuto di essere sepolto da un'istanza di "storicità obesa", da questo marchio, che tutti vogliono infliggerti.
 
Come vedi i giovani artisti , anche alla luce della tua pluriennale esperienza di docente all' Accademia di Belle Arti?
Mi fai una difficile domanda!
Sono particolarmente coinvolto, seriamente impegnato a dare consigli. Non è cosa facile parlare ad un giovane artista. Sicuramente oggi, piuttosto che negli anni '80, è più difficile trovare una collocazione, e qui torniamo al discorso della catalogazione storica degli eventi,in quanto non esistono più delle categorie ristrette. Una cosa estremamente importante per un giovane sarebbe quella di instaurare un rapporto con l'istituzione, il museo, che è il solo in grado di creare uno spazio ideale per l'esposizione di opere ancora in fase embrionale, se vogliamo.
La galleria privata limita o può limitare i ragazzi in quanto l'aspetto economico diviene un deterrente importante. L' istituzione museale ti permette invece di parlare ad un ampio pubblico, che non è lì solo per comprare, ma per vedere, per leggere l'opera d'arte con parametri differenti. Tutto questo però non può esistere in Italia, dove manca l'istituzione, non abbiamo musei per l'arte contemporanea e quelli che esistono sono spesso "colonizzati"; ciò è innegabile basta guardarsi attorno e si capisce subito a che squadra appartengono. È particolarmente facile individuare delle vere e proprie aree geografiche sostenute da una certa critica. Ci sono paesi però più aperti del nostro. Gli Stati Uniti, per esempio, dove il potere della critica è inferiore nei musei. Sia la Germania che l'Inghilterra guardano di più all'artista e meno al critico che c'è dietro. Non per questo l'attività critica non è fiorente, anzi, tutt'altro.La differenza sostanziale sta nel fatto che vi è , anche in questo caso un'apertura mentale maggiore.  
             Gabriele Land      [Estratto dal sito di Opart]
 
 
 
Epica e lirica in Omar Galliani
[...]Stupore, meraviglia, così come nell'estetica barocca, sopravvanzano l'intenzione e l'ispirazione dell'artista. E Galliani riesce a dare larghissimo respiro, fiato epico, non solo per le dimensioni ma per la soggezione che impone, alle sue meditazioni liriche, sfinite, decadenti. Raramente epica e lirica sono convissute in una così compiuta armonia. Come espandere un sonetto di Petrarca in un canto della Gerusaremme liberata? Da un lato, infatti, sia per le opere passate sia per questo ciclo, Galliani riconduce alla mente le grandi imprese pittoriche di Giambattista Tiepolo, affreschi e tele in cui anche l'esaltazione della fede diventa mitologia, euforia delle forme in un assoluto compiacimento della rappresentazione artistica. Tiepolo: e non risulterà strano il riferimento al grande artista veneziano, per chi conosca la felicità della mano di Galliani e la ritrovi potenziata e innalzata in questi graffiti. E può sembrare perfino una coincidenza ricercata la esposizione di queste opere poco lontano dal grande fregio dell'Aula di Montecitorio. Grandiosa impresa con cui si apre il secolo nel segno di un medesimo virtuosismo, quasi un ponte gettato fra Tiepolo e Galliani. Nè so quale altro artista, a rischio di retorica, possa avere in questi anni difficili cercato una sfida così alta, in diretta anche se involontaria competizione con l'artista più dotato e più infaticabile, quasi in una inutile gara con le avanguardie, allora come ora: il fluviale, inarrestabile Sartorio. E abbiamo così dato i parametri esterni o forse anche psicologici del Galliani pittore di storia, ufficiale, e forse non per caso celebrato oggi con una mostra proprio a Montecitorio.[...]
 
Vittorio Sgarbi
[dal catalogo della mostra alla Camera dei Deputati 1997]
[...]Galliani dipinge come i pittori del passato: ricerca nella storia della pittura dei secoli trascorsi un repertorio ampio, che rivisita e reinventa, attuando la convergenza tra memoria e coscienza. Eppure, - a ben vedere - vi è molto poco di conservatore nella sua ricerca. Egli non dà vita a lavori ”chiusi”, rifiniti in ogni parte. Mira a far emergere una sorta di non-finito, di disequilibrio. Le imperfezioni e le venature del legno che costituiscono la base dell’opera non sono affatto eliminati. Al contrario, hanno un ruolo centrale nella tessitura del quadro: le rughe del legno si confondono con il volto della donna rappresentata.[...]
 
Vincenzo Trione
[Estratto da "Il Mattino" - martedì 21 settembre 1999]
Quella di Galliani è un'"immagine che è figlia della pubblicità e dello star system, per l¹inarrivabile perversa armonia dei visi e dei corpi, ma che deve anche molto ai concepimenti progettati e in provetta, si pensi alle figure siamesi, speculari e gemellari, e non si dimentica del culto per l¹iconografia rubata, come dimostrato dagli atteggiamenti di alcuni ritratti, ripresi fuori dalla posa, mossi e distratti".
Maurizio Sciaccaluga