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Biografia e Critica di * Retrospettiva di VINCENZO NUCCI


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* Retrospettiva  di  VINCENZO  NUCCI

















 
 
 
 
 
 
 
 
TUTTO PARLA DI TE
Poema Visivo di Giovanni  Bonanno
dedicato a Vincenzo Nucci.
 
 
Ho attraversato antiche valli siciliane,
luoghi solitari e vecchi viali di campagna,
ho odorato l’essenze profumate delle passate stagioni,
le terre aspre e i sottili incanti con la Bougainville
che si arrampica generosa su vecchi muri di tufo bruciati dal sale
a vedere curiosa l’orizzonte africano che ancora incanta.
Tutto parla di te.
 
Ho scrutato l’acqua del Carboi che pare d’argento e seta fine
sdraiarsi come un vecchio stanco accanto ad una palma araba
che lascia ombre sottili di silenzio
che sanno di ruggine e di profumi antichi.
Tutto parla di te.
 
Dalla terra d’Abruzzo c’è chi scruta ancora curioso la finestra del porto di Sciacca
e continua a incantarsi per le sottili alchimie che nascono dall’anima,
di come suo figlio sa trasformare il piombo più nero del cielo d’inverno
e il rovente rame d’estate in verdi brillanti, in ocre preziose africane e struggenti lacche di garanza che sanno di malva, di miele e di sulla fiorita a primavera.
Tutto parla di te.

Solo la nostalgia, quella più sottile e inquieta
sa colmare il vuoto di un’intera stagione,
sa carpire l’essenza più autentica dell’esserci ancora,
emulando i favolosi ritmi e le antiche cadenze di tempo passato
nella penombra più vera di un’antica e solitaria casa padronale siciliana.
Natura,
tutto
 parla
ancora
di te.
Giovanni Bonanno © 2010
 
 
 
 
“Tra Luce, Malinconia e Memoria”
Presentazione di Giovanni Bonanno
 
             
Vincenzo Nucci da circa un quarantennio di ricerca dipinge ossessivamente i luoghi della memoria, della malinconia, con antiche ville secolari dove il tempo si è apparentemente rappreso e fermato. I suoi primi lavori negli anni Sessanta hanno avuto come tema centrale la guerra in Vietnam e il terremoto in Sicilia con una pittura pienamente aggiornata rispetto l’esperienze culturali e artistiche che si svolgevano in quel tempo in campo internazionale. Dopo circa un decennio di attività, di colpo, ha visto l’artista siciliano allontanarsi dalle vicende prettamente sociali e il tema ricorrente della sua pittura è diventato soltanto la sua Sicilia. Per diversi anni Vincenzo Nucci ha continuato a osservare curioso il paesaggio della sua fascinosa Sciacca con la casa padronale e le inquiete buganvillee fiorite dai colori vellutati che si arrampicano avidi a scrutare il mare Mediterraneo e l’orizzonte immacolato dell’Africa araba. Per molti anni l’artista ha dipinto in modo ossessivo solo paesaggi, quei paesaggi del Belice con  gli orizzonti dati come “logos indefinito”, come superamento del dato provvisorio del reale e del visibile. Un visibile che s’incarna nella figurazione ma nel contempo la trascende e la proietta in una dimensione soffusa, intima  in cui l’apparire si trasforma in essenza malinconica carica di silenzio e di cose non completamente svelate. L’artista ormai lavora  sul crinale ossessivo di una figurazione in cui le immagini vivono la dimensione sospesa  e impalpabile del momento.
Sono magiche visioni che si posizionano  metaforicamente tra natura e storia, tra coscienza e sofferta aspirazione. La tela di Nucci non è altro che il “sudario della memoria”, dei ricordi rappresi, del passato trascorso che affiora come dolce ricordo  e si condensa in materia più concreta e lirica. La visione dell’artista saccense nasce quindi  da questa   particolare capacità di trasportarci in un altrove praticabile in cui sentiamo persino i suoni, gli odori e i profumi delle diverse stagioni isolane; l’odore di terra dopo un temporale, il profumo del basilico, le cicale sospese all’ombra di una palma gentilizia a cantare e ricordarci i memorabili momenti di vita trascorsi accanto ad un solitario casolare di campagna.  Insomma, la pittura di Enzo  Nucci è intrisa di insolite memorie cariche di nostalgia e  di profondo e assorto silenzio. Il paesaggio per l’artista siciliano non è semplice descrizione o pura sensazione percettiva ma inesorabile ossessione, struggente apparizione di memorie di luce non del tutto corporee ma che lasciano comunque tracce sostanziali ancora visibili. Tutta la sua pittura è intrisa di passato, di ricordi sedimentati in una dimensione  alquanto provvisoria ma immediata. 
Per il pittore siciliano, l’arte è essenzialmente   evocazione, sortilegio, vertigine. Forse il suo mistero sta tutto racchiuso nel suo  magico studio arroccato tra tante fitte case arabe pressate a dismisura sopra il porto che formano  la parte antica e più vera della città di Sciacca.  Lì prendono forma i ricordi e nascono le architetture e i giardini con insoliti paesaggi svuotati di ogni presenza umana; solo la memoria della natura nella sua mitica essenza e nel silenzio più maestoso. Una visione decisamente “sospesa”, di confine, dilatata a dismisura che si concede ai flussi illogici dell’anima per diventare aria, vento africano, apparizione e anche superba emozione poetica. Da lì,  l’artista scruta gli umori del giorno e elabora le sue  misteriose visioni dai colori tenui che si trasformano per incanto in tonalità di colore  alquanto ricercati. Come dice Philippe Daverio, “quell’architettura siciliana che proviene dal profondo della storia e sembra sempre sul punto di disfarsi, pezzi di paesaggio, quel paesaggio di Sicilia che si annulla nell'infinito della luce e della percezione, pezzi di natura, quel verde impenetrabile nelle sue contorsioni e negli spini che lo difendono, portatore di fiori che gridano al sole il colore della loro identità mediterranea”. Secondo Nucci, Il percorso pittorico di un artista è fatto di sentimenti, di emozioni, di ricerca infinita, di dubbi, e poi d’immagini, di silenzio assorto e anche di interminabili viaggi che l’occhio compie in cerca di qualche autentica certezza.
Quella di Nucci è la percezione poetica che nasce dal profondo dei ricordi e diventa memoria collettiva, metafora di un paesaggio senza tempo, convincimento di ciò che ormai siamo diventati. Quasi un’ossessione continua, interminabile che rilascia flussi di ricordi provvisori, in cui la natura prende il sopravvento con le palme secolari che ingentiliscono il creato e con la buganvillea che mostra di voler recuperare l’antico contatto con il tempo passato. Una natura orgogliosa che svetta adagiandosi alle pareti del vecchio nudo tufo ormai ingiallito dalle tante stagioni trascorse nel muto silenzio. Nel paesaggio di Nucci la luce è l’unica certezza, la vera presenza che può  tentare di svelare la natura dell’anima, la soffusa malinconia, l’intima visione  in cui il sale per strano sortilegio s’impasta con i  delicati ricordi  del passato e con il sole caldo del Mediterraneo per materializzarsi in  apparizioni misteriose, sfuggenti.  I ricordi di luce impressi nella tela attraverso la pittura non posseggono una forma definita e definitiva, sono solo presenze che condividono la dimensione di chi è diseredato e tenta invano di resistere, di esserci ancora, “dove la natura - come dice Aldo Gerbino - si stempera nella grazia di un estenuato ricordo, come sopraffatto da quella lacerazione nostalgica che concede quel tanto che basti al passato”.
Una natura ritrovata che nasce da un assiduo contatto con artisti del suo tempo come Ruggero Savinio, Piero Guccione, Carlo Mattioli, legati da profonde affinità di come poter trattare e intendere il visibile e anche dal continuo approfondimento  con il passato, come Pierre Bonnard che Nucci ama più di tutti per la rara capacità che ha il pittore francese di trattare la dolce materia e farla vibrare in delicate e ricercate intensità cromatiche.  Nella pittura di Vincenzo Nucci  le antiche ville padronali dal tufo macerato dal tempo appaiono come presenze sfuggenti, quasi apparizioni metafisiche. La densa materia del colore ad olio o del pastello a contatto con la luce sembra che si sfarini trasformandosi improvvisamente in essenza malinconica, in delicata e soffusa presenza onirica con il  vento maestoso e prepotente del Carboi che di notte, all’ombra di una palma araba africana,  sembra che sibili malinconici ricordi di un tempo ormai trascorso e intanto di giorno accarezza compiaciuta l’aspra e selvaggia radura ancora non domata del selvaggio Belice. Questa è l’emozione che si respira   guardando gli insoliti   scorci paesaggistici in cui la luce siciliana si distende beffarda come timida apparizione. Paesaggi della memoria che incarnano provvisoriamente il mistero della vita, paesaggi in/cantati rilevati nella dimensione più intima e sofferta dell’anima. Questa è la  pittura di Vincenzo Nucci.  
 
                                                                                                            
                                                                                                     
 
 
Biografia
Vincenzo Nucci è nato a Sciacca (Ag) nel 1941 e qui ha sempre lavorato. Frequenta l’Istituto d’Arte di Palermo e l’Accademia di Belle Arti di Agrigento. Le sue prime personali, nel decennio fra il 1960 ed il 1970 in varie città italiane, lo vedono impegnato nei temi sociali e drammatici come la guerra del Vietnam e il terremoto del Belice. Dal 1980 Nucci dipingerà solo paesaggi, anzi il paesaggio Siciliano, la casa padronale, le mura di cinta dove si arrampicano rigogliose bouganville fiorite di lacche rosse, le antiche rovine di Selinunte e, infine, lei, la palma, protagonista e simbolo della fascinosa Sciacca araba che egli ama. Nel 1989 è invitato alla Biennale Nazionale Città di Milano, Palazzo della Permanente. Nel 1991 conosce Philippe Daverio che lo invita ad esporre alla rassegna d’arte “Anni Ottanta in Italia” all’Ex Convento di San Francesco di Sciacca e successivamente organizza una sua personale alla galleria Daverio a Milano. Nel 1992 conosce Marco Goldin che gli organizzerà nel 1994 una mostra antologica a Palazzo Sarcinelli di Conegliano con scritti in catalogo dello stesso Goldin, di Guido Giuffrè e di Marco Vallora. A Conegliano, Palazzo Sarcinelli esporrà ancora nella rassegna “Da Fattori a Burri, Roberto Tassi e i pittori”, nella mostra “Una donazione per un nuovo museo”, e ancora nel 1998 “Elogio del pastello, da Morlotti a Guccione”. Sempre su invito di Marco Goldin, nel 1999 terrà una mostra antologica del pastello “Opere 1981-1999, a Treviso nella Casa dei Carraresi, con testi di Marco Goldin ed Enzo Siciliano. Nel 2003-2004 la Provincia Regionale di Palermo organizza una sua mostra antologica al Loggiato San Bartolomeo, “Opere 1981-2003, con scritto in catalogo di Aldo Gerbino. Nel 2006 è invitato da Philippe Daverio alla LVII edizione del Premio Michetti di Francavilla al Mare. Nel 2007 è presente alla mostra “Arte Italiana 1968-2007. Pittura”, curata da Vittorio Sgarbi al Palazzo Reale di Milano.  Del 2008 la mostra personale “Impressioni di luce” alla Galleria 61 di Palermo e l’antologica “Opere 1984 – 2008” presso l’ex Convento di San Francesco a Sciacca con testo in catalogo di Philippe Daverio. Del 2010 la personale “Gli uomini del paesaggio” alla Galleria Spazio Forni di Ragusa e la collettiva “Mare Nostrum” alla Galleria Forni di Bologna.  Nel 2011 viene invitato alla 54° Biennale di Venezia, Padiglione Italia. L’artista vive a Sciacca.
 




 
 
 
 
Intervista a Vincenzo Nucci- a cura di EMILIA VALENZA
 
Vincenzo Nucci vive a Sciacca. È un uomo affabile e un artista sensibile, ama la sua città, il territorio in cui lavora e la cucina, soprattutto il pesce. Il suo studio possiede una finestra magica da qui entra tutto il sapore e l'odore del Mediterraneo. Da questa apertura penetra anche quella luce che si insinua direttamente nelle sue tele. È qui che si svolge la nostra chiacchierata.
Cominciamo così: da dove arriva il primo impulso a dipingere?
Fin da ragazzo mi piaceva andare per le campagne intorno a Sciacca e dipingere la natura.
In particolare osservavo i tramonti e le variazioni della luce. Quelli della giovinezza sono stati anni di ricerca molto intensi, fondamentali per la mia formazione, perché si andava delineando quel linguaggio pittorico, quella ricerca della luce che sarà l'elemento portante della mia pittura.

Quindi parte tutto dalla luce, che poi diventa colore e infine paesaggio?
Si, la mia pittura parte dalla luce, anche quando dipingevo gli interni e le nature morte. Nel paesaggio la luce diventa pretesto per esaltare o deformare realtà antiche e nuove. Il paesaggio diventa, quindi, la natura dell'anima, malinconia palpabile nelle atmosfere velate della luce meridiana e nei notturni selinuntini.

Il tuo atelier, come ormai tutti sanno, si trova nel centro di Sciacca, e si affaccia sul mare. Sì, possiede una vista su un blu bellissimo, ma che a te serve per sperimentare l'intera gamma dei verdi per la tua campagna. Non sarebbe stato meglio trovare un casolare con una bella finestra sulle colline dei dintorni?
Dici bene il mio atelier si affaccia sul mare, ma io non lo dipingo, lo osservo nei diversi momenti della giornata. Quei riflessi si trasformano nei colori che mi avvolgono l'anima e poi ritrovo certe luminosità nella ville baronali o nei giardini di antichi palazzi.

Nei tuoi lavori non c'è il mare. Ma chi conosce bene la Sicilia sa che c'è tanta parte senz'acqua, senza quel blu intenso, ma con un verde profondo e cangiante – sono solo sguardi diversi – orizzonti dell'anima diversi…

Nei miei lavori l'assenza del mare è in realtà una presenza e si manifesta per la via nascosta
della luce riflessa. Il mare serve come variazione di colore, l'azzurro del cielo si unisce con il blu del mare e poi dipingere il cielo è come dipingere il mare, si tratta di riflessi al contrario.

Dipingi a memoria o fotografi i luoghi? In quali ore della giornata preferisci lavorare?

Per schiudere le sensazioni più profonde ho bisogno dell'immagine specifica. Interpreto e sento come vero quello che vedo. Trovandomi nei luoghi congeniali, prendo appunti en plein air, con i pastelli che porto sempre con me. Trascorro ore intere ad osservare il cambiamento della luce. Dalla sensazione comincia quindi il processo di formazione dell'immagine che trova sulla tela il suo spazio scenico. Quando dipingo prediligo la luce naturale che entra prepotente soprattutto nelle giornate calde nel mio studio.

I tuoi dipinti ripropongono lo stesso soggetto ormai da tanti anni. Perché hai fatto questa scelta? Corrisponde forse ad una forma inconsapevole di ossessione?
Nel passato ho dipinto il paesaggio della Magna Grecia "Selinunte", e poi il paesaggio drammatico del terremoto del Belice. Una mattina, uscendo dallo studio, come una folgorazione mi apparve l'angolo di palazzo Valentino, e scoprii nei luoghi a me vicini il senso della memoria, capii che potevo tradurre quelle immagini attraverso sempre nuove impressioni di luce. Tutto ciò mi toccava profondamente... da allora in poi la ricerca del paesaggio si è fatta sempre più intensa e oggi corrisponde ad "una forma di ossessione", e poi arriva anche il momento in cui la tua personalità si è formata e si compiono delle scelte che rendono riconoscibile la natura dell'artista e il suo spirito contemplativo.

Che valore hanno gli antichi casolari che appaiono adombrati dai tuoi cespugli fioriti?
Ogni opera apre nuove visioni: il casolare adombrato da buganvillea e cespugli fioriti rivela il tentativo di voler recuperare il contatto con le forme del passato che si incontra con il presente.
La mia pittura vibra in questa dialettica: fra storia e natura.

Talvolta nelle campagne descrivi delle abitazioni che assumono la forma di blocchi geometrici senza identità, se non quella di un contrappunto alla natura. Qual'è il loro senso?
Blocchi geometrici si tendono nello spazio come puri riferimenti esistenziali, frammenti di un passato restituito alla natura con una energia più decisa, talvolta priva di luci rischiose.
È nei momenti di forte tensione pittorica che lo spazio perde profondità e rimane privo di fondi prospettici: anche i blocchi geometrici rivelano una loro identità.

Vincenzo Nucci è ormai un maestro, per l'esperienza di tanti anni di lavoro, per la qualità dei suoi oli e dei suoi pastelli, perché il suo genere fa scuola. Ma quali sono e sono stati i tuoi punti di riferimento e con quali artisti tuoi contemporanei condividi il linguaggio della pittura?
Ci sono alcuni grandi maestri che sono stati e rimangono punti di riferimento essenziali e sono Bonnard, Monet, Turner, perché sono attratto dalla luce e dal colore. Bonnard è per me il più grande, mi appassiona di lui il tratto vibrante e sensibile del pennello, la sua intensità cromatica fatta di verdi e di gialli trionfanti, propri della luminosità mediterranea.
Ci sono molti miei contemporanei con i quali condivido il valore della pittura anche se non ci esprimiamo con lo stesso linguaggio, ma con i quali ho non solo un rapporto di amicizia ma anche delle affinità concettuali, penso a Guccione e a Savinio.

Spesso vieni considerato come il pittore delle palme, trovi che questa definizione si sposi con il tuo lavoro oppure non rende affatto giustizia alla tua ricerca sulla luce?
Se nelle mie opere si trova come elemento costante la palma, ciò non è semplice espressione visiva, ma fa parte della mia poetica. Essa, per me, è il simbolo della Sicilia che amo, la cerco nella sua intimità, nella sua spazialità, per ritrovarvi sensazioni e ricordi perduti: talvolta è triste, altre malinconica, indolente. Ne interpreto gli umori, ne colgo le variazioni di luce.

Io trovo terribile che le palme siciliane siano afflitte da questo coleottero punteruolo devastante. Tu cosa ne pensi? Rischiamo di aver stravolto un paesaggio che è sì uno stereotipo però è anche una peculiarità. È anche questa una minaccia alla nostra memoria?
E' possibile, se non si interviene in maniera tempestiva si rischia di perdere un patrimonio dell'umanità. Io considero tale la palma, non solo il simbolo della cultura araba. Temo che i luoghi, le ville, i giardini di Palermo assumeranno un aspetto spettrale, desolante, senza identità. Un senso di smarrimento mi coglie. Vedere la palma devastata dal coleottero punteruolo mi procura tanta sofferenza.

Cosa vuoi dalla pittura? O meglio vuoi ancora qualcosa dalla pittura?
Il percorso pittorico di un artista è fatto di sentimenti, di immagini, di emozioni, di ricerca infinita. Egli dedica l'intera vita all'arte, resiste con dolore alla distruzione della memoria e della natura e nell'ambito della pittura si attende che si ritrovi l'emozione del dipingere e del saper guardare dentro la natura, perché nella natura, nei ricordi, è la storia dell'uomo, del suo essere. La pittura diventa dunque metafora della vita.
 
 
 
 
 
       Visita:   http://www.vincenzonucci.it
 
  
http://galleriaforni.it/VINCENZONUCCI.htm
http://archivioophenvirtualart.blogspot.com/2009/09/arte-contemporanea_5366.html
http://www.galleria61.com/archivio/artista_nucci.htm