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Biografia e Critica di BRUNO CASSAGLIA


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BRUNO  CASSAGLIA

















 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
Bruno Cassaglia è nato a Vado Ligure nel 1949, vive e lavora a Quiliano. Autore di racconti   testi poetici e microinterventi land-art ,per la sua ricerca poetico-visiva passa (con spirito neo-fluxus) dalle carte alla fotografia,dai grandi teli alla performance, fino alla viedo-installazione. Noto anche per la mail-art, di cui è autore con numerosi progetti che coinvolgono anche la net-art.
 
E’ attivo dal 1978, ed ha partecipato a centinaia di esposizioni in Italia,Germania, Brasile, Australia, Russia,Spagna,Olanda, Egitto, Finlandia,Belgio, Inghilterra, Israele, Portogallo, in spazi pubblici e privati. Opere in permanenza alla Galleria d’Arte Il Gabbiano alla Spezia, alla Galleria d’Arte Etage a Munster (Germania) , alla Galleria d’Arte Ghiglieri a Finale Ligure e alla Galleria Green Brush ,Monaco ,(Germania). Alla Galleria Terre Rare a Bologna. Nel 2005 fonda Il “S.A.C.S.” Spazio Arte Contemporanea Sperimentale del Comune di Quiliano.
 
 Nel 2007 viene invitato   a partecipare al progetto,”Camera 312 Promemoria per Pierre” a cura di Ruggero Maggi per la 52° Esposizione d’Arte La Biennale di Venezia. Nel 2009 fonda il gruppo “AAVV” con sede a Ivrea, e successivamente fonda con Maurizio Follin “ West East arte d’interazione” . e con l’evento performativo di settembre a Quiliano: “Zerotre Plus” entra a far parte del “Movimento 03 per l’Arte Effimera”. Attualmente, con Gemma Baboni,e Donatella Ventura,dirige”SPACES arte contemporanea” con sede a Villa Groppallo ,Vado Ligure.




LA CRITICA

…il filo del discorso – il filo di Arianna – si dipana scrivendo immagini e disegnando parole, proseguendo un po’ sulle tracce di Saul Steinberg, tra letterale e figurale, tra ironico e metaforico, nei lavori di Bruno Cassaglia. Ne risulta un discorso fatto di sussurri, di allusioni, di “irrealtà visibili” (Borges, citato dall’autore), che spariscono per riaffiorare delineando una sorta di favole, se non a lieto, a ilare, eclettico e poliedrico fine.                                  
                                                                                                                                                                            Lamberto Pignotti
 
 
 
INTRAPPOLARE L'AGILITA' DELL'ARIA
 
Un canto dorme in tutte le cose / che continuano a sognare / e il mondo inizia a cantare / sol che tu colga la parola magica.
Così suona una quartina di Eichendorff in cui si palesa la concezione romantica dell'artista-mago, disvelatore dell'essenza segreta delle cose, che esattamente risponde - mi sembra - alla poetica come ai procedimenti di Bruno Cassaglia.
Il quale, d'altronde, nelle sue aspirazioni rassomiglia singolarmente al Taugenichts eichendorffiano, al Perdigiorno errabondo con il suo svolgimento attraverso valli e campagne felici schizzate da Klee e da Mirò, dove di lontano si scorgono turriti castelli od accade di far la posta ad esemplari d'una fauna estrosa (un fenicottero a dondolo, fra gli altri); di andare, con fiduciosa improntitudine, in traccia d'un plenilunio.
In quei paraggi è possibile - ancora - praticare l'arte senza premeditazione, secondando un'esigenza fine a sé stessa, mostrandosi curiosi di piccole cose finite: un'asse dipinta d'azzurro, un muro scrostato, il battente d'una porta - sottratte da un'istantanea clandestina ad una cornice prosaica e restituite con un gesto (una semplice velatura, talvolta) alla pienezza.    
                                                                                                                                                                           
                                                                                                                                                                    Sandro Riccaldone
 
 
 
“Ecco un poeta” ,è quello che pensai di lui fin dalla prima volta che lo vidi. Stavo imparando a snidarli,i poeti, perchè sono serpentelli furbi, sanno come guardarti senza farsi vedere,nascosti in piccoli e caldi anfratti o, lingua biforcuta all'infuori,ti spiano,unici padroni, dal luogo più alto su cui dominare l'assoluto,poi, solo se si fideranno di te, ti metteranno in mano, nel regno dell'infinita leggerezza, la tua e la loro anima.
                                                                                                            
                                                                                                                                                                         Patrizia Gioia
 
 
 
Cassaglia, usa eccletticamente dal postimpressionismo all'arte povera tutto il repertorio del '900 per proporre opere che sono, al tempo stesso,documentazione del lavoro svolto (performance, pastelli, fotografia,collages) e nuovo uso della documentazione stessa,in una sorta di catena artistico-emotiva che si rinnova continuamente e continuamente riesce a coinvolgere i sensi e il giudizio dello spettatore.                                                               
                                                                                                                                                                                   Silvio Riolfo Marengo
 
 
 
 
Con Bruno Cassaglia ci siamo incrociati,per molti anni, qua e là, per le mostre, sfiorandoci con lo sguardo ma senza riconoscerci. Tuttavia sapevo essere lui -un uomo gentile dallo sguardo un po’ malinconico dei poeti- l’autore di quelle grafie gentili un po’ bizzarre che si scioglievano, ad un certo punto, in rivoli di parole…
 
…I suoi primi esperimenti pittorici risalgono agli anni settanta ma solo più tardi troverà definizione in una certa indefinitezza – paradossalmente – in una ricerca eclettica che sembra voler rifuggire ogni possibile codificazione vagabondando – come egli stesso afferma- al di fuori di ogni progettualità , “fino dove non conosce ancora” .
 
Eppure, nel procedere apparentemente sregolato di questo lavoro m’è parso di cogliere una costante: una dualità, una qualità binaria che sembra attraversare tutta la sua opera:
sono talvolta i personaggi ironici del suo lavoro grafico che si stemperano, ad un certo punto, in una sottile scrittura e talaltra vere e proprie storie, fatte di parole dalla punteggiatura gigante, a trasformarsi in pittografie, come se con lo stesso filo l’artista volesse ordire diverse trame.
 
In altri casi è lo spazio dell’opera ad essere scisso in due parti occupate l’una da stralci fotografici, magari naturalistici(paesaggi, foglie, corteccia d’albero, terra) o documentari d’interventi diretti sul territorio (foglie ferite da spilloni,tracce incise sul terreno…) l’altro da grafie più spesso , più spesso scritturali. In questi lavori si avverte come un’inconciliabità,
perfino di superficie, che può tradire ,nello stesso tempo,anche l’impossibità di separazione tra due elementi; quello fotografico che rimanda ai paesaggi bucolici della sua infanzia, alle radici rurali della sua memoria e quello scritturale che parla di un altrove… fatto di letture e di riflessioni umanistiche. Un altrove culturale… metafisico… al quale l’artista di fatto oggi appartiene. Mi è difficile scegliere da quale parte sta l’opera, se peraltro stesse da una parte. Per certi versi i suoi quadri ricordano la costruzione di alcune pitture cinquecentesche, nelle quali ad esempio, la rappresentazione di scene bibliche accanto a nature morte ha dato adito alla definizione di parergon* ossia  di quadro con appendice: opera in cui due componenti dovrebbero contrapporsi occupando uno lo spazio dell’opera e l’altro lo spazio di un’appendice, decorativa o poco più.
 
Un’interpretazione più moderna vuole che i due elementi si contrappongano e si sostengano a vicenda essendo l’uno indispensabile al’altro nel creare “ la frontiera…la membrana permeabile tra il dentro e il fuori. Essa li confonde lasciando entrare l’esterno e uscire l’interno, separandoli e unendoli “ * . Secondo J. Derida ,* di di questi due elementi, uno va contro, accanto, in aggiunta all’altro “ma non rimane in disparte…coopera, da un certo al-di-fuori, con il di-dentro. Non semplicemente da fuori, né semplicemente da dentro”. Proprio come nei lavori di Cassaglia. Se nella pittura del cinquecento l’alternativa poteva porsi tra l’immanenza e la trascendenza dove potrebbe svelarsi oggi l’alternativa del nostro ?
 
 Potrebbe celarsi in questo dualismo la trasfigurazione simbolica del rifiuto di una scelta dolorosa tra natura e cultura. Come avrebbe potuto rinnegare le sue proprie radici animali, fatte di terra,di case e d’alberi, cose semplici e concrete, per nutrirsi solo dell’humus- apparentemente altro –della cultura e dell’arte? Come segnare inequivocabilmente per se un territorio d’appartenenza da cui la propria rimanga esclusa? Ci sono percorsi esistenziali l cui punto d’arivo è così lontano da quello di partenza che la distanza diventa strappo dilaniante ed ogni passo che allontana una colpa intollerabile… 
                                                                                                          
                                                                                                                                                                   Margherita Levo Rosenberg
 
 
 
 
I GIOCATTOLI DEL MAGO
 
Nel titolo di questa esposizione risulta felicemente sintetizzato - attraverso l'associazione dei tratti che forse più profondamente lo caratterizzano: l'aspetto giocoso, di allegro e gratuito azzardo, e quello "magico", di ricerca di un'espressività in qualche modo incantata - l'atteggiamento in cui Bruno Cassaglia si pone verso la creazione artistica.
E', la sua, un'operazione intesa ad illuminare con strumenti minimi (un segno sottile che circonclude la figura; il colore modulato in un succedersi di sfumature) squarci di un paesaggio poetico abitato da animali e personaggi incongrui le cui sembianze, talora definite da un semplice profilo (Lassù, 1986), pervengono in alcuni casi (Homoblù, 1987) a dissolversi nella superficie pittorica, riconoscibili non più che in un accenno: il balenare d'un occhio; la curva della fronte.
L'immaginazione pare impegnarsi, qui, in un quieto forcing, volgendosi ingenuamente ad imprese chimeriche: la attura d'una stella o l'invenzione dell'arcobaleno; praticando un silenzio ove diviene possibile "sognare di essere sognati".                                     
 
                                                                                                                                                                          Sandro Riccaldone
 
 
 
 
 
…Bruno Cassaglia ha uno stile così discreto e introverso da lasciar quasi tra le righe la raffinatezza dei suoi disegni epigrafati e fumettati: il suo linguaggio intersemiotico è fatto di sofisticati versi che sfumano nella raffigurazione iconica, quasi a sottolineare il rapporto mentale spezzettato tra parola, colore e immagine. O forse sono le immagini che sfumano in poesia.
 
                                                                                                                                                                                    Laura Salmon
 
 
 
 
 
Bruno Cassaglia - acrobata della parola e divertito ritrattista dell’arcobaleno- muove dalla poesia visiva e dal minimalismo per recarsi infine presso ambiti maggiormente consoni al gioco e all’improvvisazione. Pur conservando seco gran parte di quello spirito sarcastico e provocatorio, proprio di numerosi poeti visivi…                              
                                                                                                                                                             Maurizio Sciaccaluga
                                                    
 
 
... Gli haiku di Cassaglia differiscono da quelli tradizionali: nelle lingue occidentali le sillabe hanno un valore minore e un altro significato rispetto a quelle orientali, quindi la metrica  non è rispettata,il foglio ha perduto la sua dimensione intima e privata e si è trasformato in stendardo, le parole,sempre un po' infantilie traballanti,comunque occidentali,entrano nelle immagini,
peraltro assenti dagli haiku giapponesi, e diventano voci che insidiano e/o si perdono in esse.                                               
                                                                                      
                                                                                                                                                                   Mara Borzone